Robert Lewandowski, anatomia dell’eleganza - Zona Cesarini

Robert Lewandowski, anatomia dell’eleganza

L’eleganza è uno dei fattori determinanti per la bellezza estetica di un gol. La coordinazione, il rendere apparentemente semplice e armonioso un gesto tecnico estremamente difficile hanno sempre contraddistinto Marco Van Basten, il Cigno di Utrecht, il principe degli attaccanti eleganti. Il 21 agosto 1988 allo stadio Rigamonti di Brescia, Marco fa il suo esordio stagionale in una facile vittoria in Coppa Italia. La stessa sera di fine estate, 1.500 chilometri più a nord-est, nasce Robert.

Nato da madre pallavolista e padre judoka, Robert inizia fin da bambino a praticare diversi sport: judo, pallavolo, ginnastica, tanto da raggiungere ottimi livelli come corridore, ma, come confessa la madre Iwona: “Robert vedeva solo la palla, la teneva sempre sotto il tavolo”. In realtà è proprio grazie allo sviluppo di un fisico duttile e adatto a diversi sport che Robert risulta così leggero ed elegante in campo. Lewandowski inizia a giocare a calcio a Leszno e, sebbene sia ancora un ragazzo brevilineo, dimostra già una discreta tecnica e un’ottima capacità atletica; una volta trasferitosi per gli studi a Varsavia, nella squadra B del Legia, complice una rapida crescita strutturale, si toglie le prime soddisfazioni.

I primissimi gol da attaccante di razza: senso della posizione, lettura della situazione specifica, capacità di tenere l’uomo a distanza col corpo e coordinazione.

Nel 2006, a 18 anni ancora da compiere, si trasferisce a Pruszków, nella squadra della città, lo Znicz, che all’epoca militava nella terza serie polacca, dove si mette subito in mostra. Il suo talento non passa inosservato tanto che l’allenatore del Lech Poznan – uno dei club più prestigiosi in Polonia – il grande Franciszek Smuda, difensore della Polonia che aveva eliminato l’Italia ai Mondiali del ’74, in seguito ad una soffiata di un amico osservatore decise di recarsi a Pruszków per vedere di persona quest’attaccante tanto apprezzato quanto alto e filiforme. Una volta arrivato al campo Smuda salì sulle gradinate e osservò i movimenti dell’attaccante. Dopo 15 minuti di partita decise di tornare a Poznan:

“Se volevo osservare un albero, me ne andavo nella foresta.”

Lewandowski continuò in realtà a stupire, totalizzando nei due anni a Pruszków 21 reti in 32 partite che gli permisero di diventare capocannoniere in terza serie prima, e in serie B poi, tanto da attirare su di sé le attenzioni di diversi club. Il suo agente parla di Spagna, di Sporting Gijon o Saragozza, ma alla fine per 1 milione e mezzo di zloty – 370mila euro – la spunta una squadra di Ekstraklasa, la serie A polacca: il Lech Poznan che, ironia della sorte, era ancora allenato da Smuda.

Debutta nei preliminari di Europa League contro gli azeri del Khazar Lenkoran segnando l’unico gol della partita, la settimana successiva parte dalla panchina nella prima di campionato contro il GKS Belchatow, ma quattro minuti dopo essere entrato realizza questo gol.

Quanti attaccanti a 20 anni, 4 minuti dopo essere entrati in campo nella prima partita della propria carriera in massima serie, possono confezionare un gol del genere?

Da quel momento Smuda si rende conto di aver giudicato erroneamente le qualità dell’’albero’ Robert e gli dà fiducia schierandolo unica punta, supportato da un folto centrocampo. Robert non smette più di segnare: chiude la sua prima stagione in Ekstraklasa al secondo posto nella classifica marcatori con 14 centri e mette a referto ben 7 assist. Il 10 settembre 2008, a 20 anni appena compiuti, segna all’esordio con la nazionale maggiore diventando il secondo più giovane marcatore di sempre della Polonia all’esordio. Tony Mowbray, allora manager del West Bromich Albion, rimane colpito dalle potenzialità del giocatore e tenta di acquistarlo sulla base di un accordo da 600mila sterline, ma Robert decide di restare in Ekstralasa un altro anno per maturare ulteriormente.

La stagione successiva è quella della consacrazione; il Lech Poznan vince l’Ekstraklasa e Robert è capocannoniere con 18 gol. Chiude il biennio 2008/2010 con 41 gol comprese le coppe. Nelle compilation di gol al Lech Poznan è già notevole la facilità di calcio e la leggerezza nei movimenti di Robert, oltre che il senso della posizione e l’incredibile dote di trovarsi sempre nel posto giusto negli ultimi 16 metri. Così Robert, a 21 anni, si sente pronto per tentare la fortuna in campionati più prestigiosi.

Durante la stagione 2009/10 Tony Mowbray diventa manager del Celtic, ma non si è mai dimenticato di quell’attaccante polacco che tanto lo aveva stupito l’anno precedente, e prova a portarlo a Glasgow, tuttavia il prezzo del cartellino è troppo alto per le casse biancoverdi. Ne approfitta Allardyce e il suo Blackburn, che già a fine febbraio trovano l’accordo col giocatore. Era il 4 marzo, i Rovers di Big Sam ospitavano all’Ewood Park l’Everton, ma più che per la partita, uno scialbo 0-0, i dirigenti erano eccitati per la presenza di Lewandowski allo stadio, pronto a mettere la firma sull’accordo di trasferimento.

Ma Robert non andò mai a Blackburn, l’eruzione di cenere del vulcano islandese Eyjafjallajökull e la conseguente chiusura degli aeroporti gli impedirono di chiudere la trattativa. La pista Blackburn si raffreddò e la spuntò il Borussia Dortmund – al terzo anno della gestione Klopp e reduce da un quinto posto in Bundesliga – per 4,5 milioni di euro, incasso più cospicuo della storia del Lech Poznan. Robert si trova subito a suo agio grazie anche alla presenza dei connazionali Piszczek e Blaszczykowski, ma fatica a comprendere le idee tattiche di Kloppo che lo schiera più lontano dalla porta, alle spalle di Lucas Barrios.

In un’intervista Robert dichiarerà poi: “Dopo aver lasciato il Lech Poznan dovevo fare un passaggio importante, giocavo più arretrato, poi ho capito il motivo: Klopp voleva che diventassi un giocatore più completo”.

Segna il primo dei 9 gol stagionali il 19 settembre alla Veltins Arena nel sentitissimo Revierderby vinto 3-1 contro lo Schalke 04 e chiude l’annata con 33 presenze in Bundesliga, di fatto uno dei giocatori chiave del primo Meisterschale dell’era-Klopp. La vera e propria svolta per Lewandowski avviene all’inizio della stagione successiva, l’infortunio di Lucas Barrios costringe Klopp a schierarlo più vicino alla porta, e i risultati sono incredibili: 22 gol (con 0 rigori) nel campionato vinto, oltre alla tripletta in finale di DFB Pokal contro il Bayern. L’anno successivo è forse il punto più alto dell’avventura di Robert a Dortmund: realizza 24 gol in campionato, sorpassa il record di gol consecutivi di Friedhelm Konietzka – che resisteva da quasi mezzo secolo – e soprattutto realizza 4 (quattro!) gol in una semifinale di Champions League, contro il Real Madrid di Mourinho e Cristiano Ronaldo.

A 1:21 il terzo dei quattro gol al Real, un capolavoro di Robert, assurdo come la palla gli rimanga incollata al piede e con quale facilità riesca a girarsi con tre tocchi nel cuore dell’area di rigore, in mezzo a Varane e Xabi Alonso, e a scaricare dentro.

Chiude il periodo nella Ruhr con 28 gol tra campionato, coppa e Champions League nella stagione 2013/14. Il mago Klopp è stato l’artefice del salto di qualità di Robert, così come Lewandowski è stato la pedina decisiva per la perfetta espressione del 4-2-3-1 di Klopp. La coordinazione nei movimenti dei singoli in tutte le fasi di gioco è senz’altro il leitmotiv del calcio totale dei gialloneri; in fase di impostazione il movimento senza palla dei centrocampisti e degli esterni fornisce al portatore sempre molteplici alternative al lancio lungo, la facilità di corsa e la propensione offensiva dei terzini li rende interscambiabili con gli esterni d’attacco, causando spesso superiorità numerica sulle fasce. Con la facilità di palleggio e la velocità nelle triangolazioni i 4 giocatori offensivi non danno punti di riferimento alle difese, spesso prese in controtempo sui ribaltamenti di campo fulminei del Borussia.

Lewandowski viene incontro creando lo spazio per l’inserimento di Reus e Blaszczykowski (fuori inquadratura); contemporaneamente sia Kagawa che Gündogan si smarcano per dettare il passaggio al compagno.

In fase di non possesso la squadra si stringe, gli esterni si abbassano e il trequartista si schiaccia al livello dei due centrocampisti formando un 4-5-1 mobile caratterizzato da un gegenpressing asfissiante, ma soprattutto perfettamente organizzato nei suoi tempi e sincronismi.

In fase di non possesso i due esterni, Kuba e Reus, entrano verso il campo e marcano a vista l’esterno avversario, Mkhytarian si aggiunge di fatto alla linea dei 2 centrocampisti difensivi mentre uno dei due esce sul portatore di palla. Lewandowski resta il giocatore più avanzato ed impedisce al portatore di ripartire da dietro.

Una volta riconquistata palla, la fase di ripartenza del Borussia è letale, 7/8 giocatori attaccano gli spazi creando superiorità numerica e riuscendo ad arrivare in meno di 10 secondi al tiro. Seguendo la visione ossessiva e impaziente di Klopp, la trasformazione dell’azione in offensiva diventa uno dei punti di forza dei gialloneri assecondando una verticalità di gioco estrema; la velocità degli attaccanti e la capacità d’inserimento e di attaccare gli spazi dei centrocampisti dà vita a ripartenze molto efficaci che, unite al pressing alto, rendono davvero complessa ogni ripartenza palla a terra per gli avversari.

In un sistema di gioco totale come quello di Klopp, Lewandowski rappresenta il vero e proprio valore aggiunto della squadra. Riesce a muoversi tra le linee togliendo di fatto punti di riferimento ai difensori, interscambia spesso la posizione con gli altri giocatori d’attacco ritrovandosi talvolta sulle fasce o all’altezza dei centrocampisti, non perdendo, però, l’efficacia sotto porta e in area di rigore, risultando così spesso decisivo.

Nel biennio 2012/2014 va in media al tiro 3,35 volte a partita, centrando lo specchio della porta nel 66% dei casi, l’80% dei tiri avviene nell’area di rigore, a dimostrazione di come la macchina perfetta del BVB lo metta efficacemente in condizione di finalizzare. Ed è qui che Robert è un vero fuoriclasse, con una media di un gol ogni 4 tiri. Per rendere un’idea, Cristiano Ronaldo nella stagione 2013/14 – la più prolifica della carriera – metteva a referto un gol ogni 7 tiri. Risulta evidente come fosse inevitabile l’interesse dei top club europei.

All’indomani della brutta sconfitta per 4-1 (guardacaso unico gol di Lewandowski) contro l’Amburgo, Michael Zorc, dirigente del Borussia, rilascia una dichiarazione che gela il sangue dei tifosi gialloneri: “Robert Lewandowski non rinnoverà il contratto. Vedremo se se ne andrà in estate. Ci sono due possibilità: o se ne va a giugno, o resta un altro anno.” Si susseguono i rumors sul trasferimento dell’ormai affermato Robert: sembrava già promesso allo United di Sir Alex, ma un anno dopo, il 4 gennaio 2014, il Bayern ne ufficializza l’acquisto a parametro zero: seconda pugnalata al BVB dopo aver pagato per intero la clausola di Götze l’estate precedente. Il giorno della presentazione, Robert giustifica così il trasferimento:

“Sono stato quattro anni al Borussia Dortmund, poi ho capito che era il momento giusto per fare il passo successivo. Arrivo al Bayern con l’obiettivo di diventare un giocatore ancora migliore”.

Inizia la stagione perdendo proprio contro i suoi ex tifosi la Supercoppa tedesca, ma ha modo di rifarsi con gli interessi, segnando il gol decisivo sia all’andata che al ritorno. Come nel primo anno con Klopp fa fatica ad assimilare le diametralmente opposte idee di calcio guardiolane, che non si affida ad un determinato modulo di gioco ma preferisce un sistema “vivo”, una ‘nuvola’ con una continua intercambiabilità delle posizioni dei giocatori.

L’inarrestabile sperimentazione di Guardiola e l’estenuante possesso palla (67,5% di media) limitano le potenzialità di Lewandowski, che comunque, con un’ottima seconda parte di stagione chiude con 17 centri in Bundes e 6 in Champions League. Ma il continuo mutamento del sistema di gioco di Pep prende una svolta favorevole per Robert; il Bayern acquista Vidal, Coman e Douglas Costa, e Guardiola cambia ancora. Sperimenta un 4-1-4-1 con Vidal schermo davanti alla difesa e 5 giocatori offensivi (solitamente Coman, Müller, Douglas Costa, Robben, Lewandowski) davanti al cileno, creando una sorta di doppia W.

L’esperimento di Guardiola, due linee di 5 giocatori che formano due W (Coman, l’ala sinistra, è fuori inquadratura).

In questo contesto Lewandowski può esprimere al meglio le sue capacità; è lui infatti il terminale offensivo centrale. A metà stagione ha già segnato 27 gol in altrettante partite, ciliegina sulla torta i 5 gol in 9 minuti rifilati al Wolfsburg, sbriciolando così tutti i suoi precedenti record. E senza mai far filtrare all’esterno l’impressione di un appagamento o di un calo mentale nell’arco di stagioni da 55 partite.

Nei 5 gol al Wolfsburg c’è tutto: la facilità di tiro del secondo gol, il senso del gol del terzo, dove sembra quasi che la palla sia attratta da Robert, l’eleganza del quarto e la perfetta sintesi tra estetica e potenza del quinto (come sembra facile e naturale quell’acrobazia in volo!)

Pure le prestazioni con la Polonia non sono da meno; ha trascinato la nazionale biancorossa alla qualificazione diretta nella fase a gironi siglando 13 gol e lottando fino all’ultima giornata con la Germania campione del mondo per il primato nel girone. L’aria austera e autorevole, il fisico scolpito che sembra uscito da una graphic novel di un supereroe Marvel, l’essenzialità nel look e le straordinarie abilità nel segnare lo rendono un centravanti iconico: trait d’union tra il vecchio modo d’intendere il ruolo e il prototipo del giocatore del futuro.

Chissà cosa stava facendo Robert quel 18 agosto 1995, tre giorni prima del suo settimo compleanno, magari era nel parco Lazienki a giocare a calcio con gli amici quando il mondo del calcio si fermò.

“Devo dare una notizia breve, ho deciso di smettere di fare il calciatore.”

La voce rotta dall’emozione di Van Basten, seduto tra Galliani e Braida nella sala trofei di via Turati, una vera e propria pugnalata al cuore per tutti, anche per Maradona, che commentò: “Mi viene da piangere, è stato il giocatore più elegante che abbia mai visto. Se Dio ha deciso così vuol dire che non vuole vedere più gol belli”. Ma oggi, forse, gol belli ed eleganti possiamo ammirarli di nuovo; grazie a Dio, ma soprattutto grazie a Robert Lewandowski.