Pensavo fosse un cobra invece era un ramarro. Darko Pancev: uno scarpone d'oro - Zona Cesarini

Pensavo fosse un cobra invece era un ramarro. Darko Pancev: uno scarpone d’oro

«Dite che con Pancev bisogna avere pazienza perché è macedone? Sarà… ma io sono della Bovisa e non sono mica un pirla!» Osvaldo Bagnoli

La Bovisa è un quartiere a Nord di Milano, in piena periferia meneghina, e a detta di Osvaldo Bagnoli, popolato da persone piuttosto scaltre e avvedute. L’allenatore milanese a quei tempi sedeva sulla panchina dell’Inter. Era il 1992 e quell’anno a fargli compagnia arrivò questo ragazzo terribile iugoslavo, già vincitore di una scarpa d’oro e di una Coppa Campioni nel 1991 con la maglia della Stella Rossa di Belgrado, una squadra fortissima, piena zeppa di nomi che faranno furore in mezza Europa.

Non avere avuto questo portento nella nostra collezione di bidoni era un insulto al calcio parlato e alle sue memorabili storie da raccontare. Era come avere una bacheca vuota senza un poster di Roberto Baggio, un album dei Rolling Stones e un modellino della Lancia Delta firmato Burago. Sì, perchè Darko Pancev, il protagonista di questa storia, era il terminale d’attacco di una formazione nella quale facevano parte nomi del calibro di Jugovic, Savicevic, Prosinecki e Mihajlovic. Tutti giocatori che davanti a sé avevano già un futuro raggiante di grande speranza. Stessa cosa valeva anche per il nostro Darko. Peccato che qualcosa sia andato storto.

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E quella che doveva essere una stella destinata a brillare è finito per essere il fenomeno paranormale o parastatale, come definito dalla Gialappa’s Band, più scandaloso d’Italia: Donnie “Darko” Pancev se più vi piace. E guarda caso, l’ambientazione di questo thriller drammatico d’autore sfociato nell’horror non poteva che essere la casa dei fantasmi più famosa d’Italia: Appiano Gentile, che tutt’oggi detiene il record di ectoplasmi scesi in campo.

Pancev è Mister Gol: il Kobra iugoslavo

Darko Pancev era l’idolo del Fudbalski Klub Vardar 1947, squadra della sua città natale in Iugoslavia, poi diventata Macedonia nel 1991. Questo giovane virgulto balcanico alto 175cm, dai capelli corvini e dal sorriso beffardo, esordisce nel 1982, alla tenera età di 17 anni, nella massima serie del campionato locale, la Prva Liga. A quei tempi dettavano legge il Partizan del bomber Dragan Mance, la Stella Rossa di guidata da Branko Stankovic e la Dinamo Zagabria spinta da Snjesko Cerin.

Nella stagione ’83-’84 Darko, all’età di 19 anni, mette la prima firma sulla classifica capocannieri. Non ancora ventenne, Mister Gol, come tutt’oggi lo chiamano in patria, o se più vi aggrada il Kobra – soprannome che porterà con sé fino all’arrivo all’Inter – sbalordisce tutti i balcani per la sua facilità di segnare e la sua infallibilità sotto rete, uno alla Inzaghi per intendersi. Sempre al limite del fuorigioco e decisivo in area piccola dove ogni palla che passa riesce a trasformarla in rete. Sono 19 i gol quell’anno, e mette in fila Cerin e Halilovic, vecchie volpi del campionato iugoslavo con dieci stagioni in più alle spalle.

L’anno dopo il nostro Re Mida si supera e la butta dentro 20 volte. Altri tre anni ad alti livelli e la Crvena Zveda, la Stella Rossa dei miracoli, investe su di lui e ne fa il terminale offensivo di una squadra già fortissima. Infatti, nell’89-’90 è di nuovo capocannoniere, e così sarà per altri due anni di fila, fino al 1992. Parentesi non da poco, come già detto, la vittoria della Coppa dei Campioni ai danni del Marsiglia di Jean-Pierre Papin.

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La Stella Rossa fa cappotto, senza perdere mai una partita e polverizzando in ordine Rangers, Dinamo Dresda e Bayern Monaco, prima della finale giocata al San Nicola di Bari finita ai rigori. Segno del destino, è stato proprio Pancev a tirare il rigore decisivo. In Iugoslavia non si parla d’altro, è lui il nome destinato a finire sui taccuini dei direttori sportivi di mezza Europa.

Siamo nel bel mezzo delle cosiddette guerra d’indipendenza iugoslave e nel Novembre del 1991 il mondo assiste alla tragica battaglia di Vukovar tra le milizie Serbe di Arkan e le forze di difesa croate: è un massacro. Anche il calcio ovviamente risente di questa situazione, tanto che quella stagione, dopo l’abbandono dei club sloveni e croati avvenuta al termine del campionato precedente, si ritirarono anche le formazioni provenienti dalla repubblica bosniaca colpita dalla guerra civile, a cui seguirono, alla fine del torneo, i club macedoni.

Non solo. A un mese dalla chiusura della manifestazione, la UEFA dispose un bando biennale nei confronti della federazione jugoslava che escluse i club dalle competizioni europee. A rimetterci le penne più delle altre, fu la Stella Rossa che, dopo aver vinto il terzo campionato consecutivo e la Coppa Intercontinentale, si vide precluso l’accesso alla neocostituita UEFA Champions League.

Il macedone Pancev, dopo un’altra strabiliante annata decide che è arrivato il momento di fare le valigie e tentare fortuna nell’Europa del calcio che conta. Ecco che da qui la storia del Kobra comincia a prendere una piega che lo porterà definitivamente a essere considerato uno dei bidoni più azzeccati della storia e ad essere canzonato alla mercè di tutti come uno scarpone d’oro.

La caduta di Pancev agli inferi: un innocuo ramarro

“È come Boninsegna: dategli palla in area ed è gol. Merita tutta la mia fiducia. Un grande opportunista, uno che se vede girare il pallone in area la butta dentro”

Vi sembrerà strano ma sono sempre parole di Osvaldo Bagnoli, quello della Bovisa di inizio articolo. Il Mister milanese, all’arrivo di Pancev era entusiasta. Insieme a Ruben Sosa e Totò Schillaci avrebbe fatto faville. Jurgen Klinsmann lasciò i nerazzurri nel 1992 col nomignolo di “Pantegana Bionda” per venire finalmente sostituito da un Kobra affamato scappato dalla guerra e pronto a voler stupire.

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Le premesse ci sono tutte per riportare lo Scudetto a Milano sponda interista, il secondo del Commendator Pellegrini. Niente di più sbagliato. Pancev è il preludio ad una serie di compravendite che il buon Moratti continuerà sotto la sua guida, l’antesignano dei bidoni nerazzurri. Ancora il triplete del 2010 è un miraggio lontano anni luce.

“Sono molto contento di essere al Milan come giocatore dell’Inter”

Sembra una barzelletta ma queste sono le prime parole del buon Darko appena arrivato alla Pinetina. Siamo nell’estate del ’92,  e l’Inter vince la corsa su una concorrenza agguerritissima sborsando nelle casse della Stella Rossa la roboante cifra di 14 miliardi di lire. Il macedone è pronto a colpire e non farà rimpiangere i tre moschettieri tedeschi andati via proprio a giugno. Anche Arrigo Sacchi non si nasconde e afferma con assoluta tranquillità:

“Che bravo, in area di rigore un giocatore straordinario.”

Pancev arriva in Serie A insieme ad altri tre vecchi compagni di Belgrado: Dejan Savićević al Milan, Siniša Mihajlović alla Roma e Vladimir Jugović alla Sampdoria. Sarà il peggiore per distacco, mentre gli altri diventeranno colonne insostituibili nelle rispettive squadre portandosi a casa anche trofei importanti.  Arrivato a Milano, Darko è determinatissimo:

“Sono molto felice per questo trasferimento. Tornerò in Champions League l’anno prossimo con l’Inter. So che la concorrenza sarà spietata, ma è un bene per raggiungere gli obiettivi. Ho un regalo speciale: voglio segnare. Penso di essere utile per una squadra come l’Inter che ha difficoltà a trovare la rete.”

Si vola sulle ali dell’entusiasmo, a Via Durini è tutto uno stringersi mani e darsi pacche sulle spalle. Non solo. Anche lo staff medico è dir poco strabiliato dalle condizioni fisiche del macedone che, trovandolo solido come un pezzo di granito, spinge la dirigenza a fargli firmare un contratto quadriennale da 2 miliardi a stagione.

L’esordio in Coppa Italia contro la Reggiana è micidiale.  Il ramarro segna una tripletta che racchiude tutto il suo bagaglio tecnico: testa, rapina e potenza. Gli abbonamenti crescono e i tifosi non si lasciano scappare la prima occasione di vederlo dal vivo in casa. Al ritorno a San Siro, il 2 settembre, Pancev segnerà altri due gol in meno di 20′.

Pronti via e parte il campionato: un disastro. Il debutto in casa contro il resistibile Cagliari è stampato nella memoria di parecchi interisti. 90 minuti per capire come andrà la stagione. La squadra vince agevolmente 3-1 ma in tribuna cominciano a volare i primi fischi, nonostante le clamorose prestazioni di Coppa.

L’Inter parte malissimo, inanellando una serie di sconfitte e risultati altalenanti nelle prime dieci giornate di campionato tra cui un sonoro 3-0 subito ad Ancona. Pancev non segna e quando gli capita l’occasione sbaglia clamorosamente sotto porta. Bagnoli comincia a definirlo come un “corpo estraneo” alla squadra e decide di tenerlo fuori.

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Neanche Lars Von Trier l’avrebbe scritturato in un ipotetico “Dancing in the Darko“. Pancev era un attaccante vecchio stile con la capacità di svariare sul fronte offensivo pari a quella di un mammuth, non adorava andarsi a cercare il pallone, se gli passava di lì bene altrimenti fà niente.

L’11 iniziale viene così rimodulato per sfruttare in contropiede le caratteristiche di Sosa e Schillaci. Il ragazzo non balla sulle punte e non fa più parte dell’undici titolare. La squadra inaspettatamente trova un equilibrio e chiuderà la stagione al secondo posto, a soli 4 punti dal Milan di Van Basten e Jean-Pierre Papin.

Il 31 Gennaio 1993, però, al Meazza va in scena Inter-Udinese, e il Kobra va finalmente a segno. Cross dalla trequarti di Berti, il macedone stacca e anticipa Di Sarno. Esultanza da finale di Coppa del Mondo. Peccato che anche quel giorno con Pancev in campo, l’Inter non riuscirà a vincere. Finirà 2-2 con Abel Balbo che riacciuffa i nerazzurri all’84’. Niente da fare, ormai Darko è una sciagura, una piaga da estirpare.

In Iugoslavia si cerca di salvargli la faccia dicendo che il ragazzo ha problemi ad ambientarsi, che è colpa di Bagnoli, dei senatori come Bergomi che non lo vogliono in campo e obbligano l’allenatore a preferigli Totò Schillaci. Peccato che nella stessa città il neoarrivato Savicevic comincia ad incantare tutto il tifo rossonero ogni volta che mette piede in campo. Il Kobra è ufficialmente un lontano ricordo. Ecco che comincia a circolare il soprannome di ramarro, un innocuo lucertolone, che si nasconde dietro le sagome dei difensori avversari.

Un bidone è per sempre

Bagnoli non lo considera più e Pancev comincia anche a lamentare strani infortuni per non dover seguire la squadra in ritiro. Niente di più falso, il macedone stava bene e si godeva il suo lauto compenso tanto da fargli pronunciare una famosa sferzata a tifosi e stampa:

“Tifosi fischiano, giornalisti criticano… Importa sega a me: io domani compro Ferrari”

Il pubblico e la dirigenza non la prendono affatto bene, si cerca di venderlo al miglior offerente ma nessuno se lo vuole prendere. Siamo alla stagione ’93-’94. Nessuna presenza in campionato e a Gennaio l’unica soluzione possibile è depositarlo temporaneamente al Leipzig, Germania dell’Est, ex DDR.  Dieci presenze e solamente 2 reti, un bottino un po’ misero anche in Bundesliga. Non solo. Il Lipsia quell’anno retrocede e in Germania si comincia anche a dire che Pancev ha una qualità: mandare in rovina tutto quello che tocca.

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Per disperazione l’Inter se lo riprende e Darko, in un momento di raro ottimismo, è convinto di poter spazzare via le malelingue e riprendersi lo scettro abbandonato tra le strade di Belgrado:

“Ho scordato tutto il passato nerazzurro. Sono qui con grande voglia di fare, di far capire quanto valgo. Anche a Lipsia nella scorsa stagione e’ stato un dramma. Ho segnato solo un gol nelle ultime dieci partite e siamo anche retrocessi. Sono convinto di far bene, mi piace l’allenatore Bianchi perche’ parla a viso aperto.”

Le statistiche parlano chiaro. 7 presenze in campo e 2 gol in campionato contro Fiorentina e Bari sanciscono la fine dell’esperienza italiana del killer macedone. Pancev torna in Germania, al Fortuna Dusseldorf. Ma di fortuna non se ne vede neanche l’ombra tant’è che l’anno successivo conclude la carriera nella pacifica svizzera tra le file del Sion.

Si fa avanti un importante produttore di film porno, Pancev tentenna ma alla fine dice di no. E’ il triste epilogo di questa supernova iugoslava, esplosa tanto in fretta e allo stesso tempo sgonfiatasi così velocemente tanto da farlo finire sempre al primo posto di tutte le classifiche sui peggior acquisti della storia del calcio.

Il figliol prodigo torna così nella sua amata terra. E nel 1999 i macedoni gli fanno il regalo di nominarlo “miglior giocatore del secolo“.  Oggi Pancev vive e a Skopje con la moglie e figli e non ha intenzione, almeno per il momento, di rientrare nel calcio, anche se lo vorrebbero presidente del club di casa. Vive da nababbo e l’Inter, le Coppe Campioni e le classifiche cannonieri sono un capitolo del passato anche se Pancev ci tiene sempre a dire la sua su come secondo lui sono andate effettivamente le cose:

“L’Inter è stata il più grande sbaglio della mia vita. Ero l’attaccante più ricercato e finii all’Inter, che praticava un calcio difensivo e mi offriva al massimo due occasioni a partita. Ma non sono stato l’unico a pagarla: l’Inter ha rovinato anche giocatori come Jonk, Sammer, Shalimov. E Bergkamp solo dopo un anno in Inghilterra si è ripreso.”

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Per Darko ci sono attaccanti che corrono e attaccanti che non corrono. Lui era uno di quelli che correvano solo entro i 30 metri dalla porta. Troppo poco per venire all’Inter pensando che accettassero il suo modo di giocare. I tifosi si aspettavano il nuovo Altobelli e si ritrovarono Pancev. Speravano di rimettere le mani sullo scudetto e hanno dovuto aspettare quasi 15 anni. Ma soprattutto volevano rispolverare “Kobra”, la super hit di Donatella Rettore del 1981. Molti, però, non sanno che quel disco aveva anche un Lato B e conteneva un altro pezzo dal titolo “Delirio”.

E così è stato, un altro delirio di calciomercato nerazzurro da inscrivere nella memoria e nel cuore di ogni interista.